di Andrea Franceschini

PERUGIA – Immagina un ragazzino innamorato del pallone. Immagina un’estate torrida di inizio anni 80 e un paese che si ferma immobile davanti al tubo catodico, da poco coloratosi di verde come il campo e di azzurro come le maglie della nazionale. Immagina le imprecazioni e le grida di gioia che da ogni finestra aperta alla ricerca di uno spiffero di aria fresca, diventano il boato di uno stadio immaginario, con le nonne e le mamme che, affacciate, si annunciano tra loro i gol, uno dopo l’altro.

In mezzo a quel campo c’è una maglia speciale, indossata da un calciatore che quasi non avrebbe dovuto disputarlo quel mondiale di Spagna, schiacciato dal macigno di una squalifica infamante e dallo scetticismo tipicamente italico che punta il dito ma, il più delle volte, nasconde la mano.

Quando sei ragazzino, però, tutto questo non conta, contano i sogni, il pallone che entra in porta, l’esultanza mimata in altre mille occasioni sul campetto davanti a casa, dove ognuno adotta il nome del campione preferito.

Paolo Rossi era tra i più gettonati e lo sarebbe stato per sempre dopo quella magnifica estate, ancora di più a Perugia dove aveva consentito ad una città intera di sentirsi al vertice. Paolo Rossi rappresentava il gol, l’espressione più alta e inebriante di questo sport, il finalizzatore che concretizzava gli sforzi della squadra con un guizzo dei suoi.

Un tocco e via, il pallone in porta, le braccia in alto e la maglia che si agitava come una bandiera nella corsa per esultare, mentre i portieri continuavano a chiedersi da dove fosse sbucato quell’attaccante dal fisico normale, troppo normale per essere un pericolo, ma con un istinto senza eguali.

In quell’estate ha lavato via ogni dubbio, ha smorzato ogni polemica, ha acceso lo stupore e l’entusiasmo di una nazione che aveva seguito con distacco le prime partite, tirando fuori il coniglio dal cilindro come sapeva fare in campo dopo essersi magari nascosto per tutta la partita. Di più, Paolo Rossi ha incarnato in quelle giornate di luglio lo spirito degli italiani, furbi, ingegnosi che danno il meglio nelle difficoltà ed emergono quando sono sfavoriti.

Ma soprattutto “paolorossi”, un nome ed un cognome normale, che confonderesti tra mille è diventato un unico vocabolo, il legame tra sogno e realtà per ogni bambino innamorato del pallone e di quel gol di cui lui, “Pablito” è divenuto sinonimo per sempre.