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I “furbetti” della cassa integrazione: l’inchiesta de La Voce e Umbria Radio

Written by on 06/08/2020

I “furbetti” della cassa integrazione: l’inchiesta de La Voce e Umbria Radio

06/08/2020

PERUGIA – Un fenomeno nazionale che ha colpito anche l’Umbria è quello delle “finte casse integrazioni”. Sono tante le aziende su tutto il territorio nazionale che hanno chiesto l’ammortizzatore sociale per i proprio dipendenti che, però, continuavano ad andare a lavorare. Sull’ultimo numero in edicola del settimanale La Voce, l’inchiesta con le storie di alcune delle “vittime” di questo sistema.

Le storie Per tre volte, Luisa (nome di fantasia) ha provato a fare qualcosa per uscire dalla sua situazione, ma non c’è stato nulla da fare. Un mese e mezzo fa, piangendo si è rivolta al sindacato per chiedere di intervenire nella situazione, ma senza una denuncia diretta non si è potuti andare avanti. Tra le lacrime, Luisa, ha raccontato di essere in cassa integrazione per “Covid”. Per lei, che lavora in una azienda di commercio del perugino, il datore di lavoro ha attivato il FIS, il fondo solidarietà del commercio e terziario, ma per tutte e 18 le settimane richieste – ancora in corso – ha continuato a lavorare da casa, in smart working. Una situazione analoga a molte imprese che hanno optato per il “lavoro agile”, in cui era ancora più difficile portare avanti delle verifiche da parte degli ispettori del lavoro. Uno stipendio di 1600 euro mensili che è rimasto tale anche durante la cassa integrazione, infatti, il datore di lavoro le ha pagato la differenza tra lo stipendio pieno e la cassa integrazione ma senza tenere conto di tutto il lavoro “extra” che Luisa ha fatto da casa. La scusa è sempre la stessa: “le vendite sono calate, dobbiamo riuscire a sopravvivere, dobbiamo far quadrare i conti alla fine del mese”. La paura di perdere lo stipendio, con un marito che lavora a singhiozzo, un mutuo da pagare e i figli da mantenere, Luisa è stata “al gioco” del suo capo, ma a fatica. Una situazione “vergognosa” di cui Luisa non è affatto complice, ma vittima, considerando poi che, secondo alcune fonti sindacali, la sua azienda non sarebbe comunque in crisi. E vittima è anche Luigi (anche questo nome di fantasia), impiegato in un’azienda di artigianato zona appennino. Dopo aver chiamato al sindacato per sapere se la sua cassa integrazione fosse stata approvata, nel suo caso il FSBA – Fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato, ha raccontato di essere comunque in azienda, regolarmente al lavoro per 8 ore al giorno. Per Luigi, anche lui 18 settimane in Cig “per Covid”, la chiamata al sindacato è stato l’unico tentativo per provare ad uscire da una situazione irregolare. La paura di perdere il lavoro non gli ha permesso di andare a denunciare alle forze dell’ordine. L’azienda, in questo caso una piccola e media impresa, ha concesso a Luigi di mantenere lo stesso stipendio, integrando in nero la differenza tra stipendio e Cig. In entrambi i casi la Cig non è stato un aiuto per i lavoratori ma una fonte di finanziamento “illegale” per le aziende, senza considerare che a qualcuno è anche capitato di dover restituire una parte della cassa integrazione – ricevuta direttamente dall’Inps – al datore di lavoro che lo aveva pagato “a nero”. La semplificazione dell’accesso alla cassa integrazione, voluta dal Governo per non lasciare nessuno indietro, è stata sicuramente un aiuto per molti, ma dalle storie di Luisa e Luigi si evince che era necessario prevedere degli strumenti maggiori regole e controlli.

Il commento dei sindacati Una semplificazione per l’accesso alla cassa integrazione “per Covid” prevista dal decreto “Cura Italia” voluto per non lasciare indietro nessuno, ma il lavoratore è sempre la parte debole del rapporto. Come sostiene Gianluca Menichini della segreteria Flai Cgil dell’Umbria che parla di un fenomeno diffuso soprattutto nelle piccole aziende dove il sindacato non riesce ad essere presente e a controllare quanto succede. Soprattutto in questo periodo, spiega Menichini, la paura di perdere il lavoro e quella che è l’unica fonte di reddito, i lavoratori fanno fatica a denunciare. Il sindacalista, invitando i dipendenti ad informare le forze dell’ordine di queste situazioni irregolari, ricorda che ci sono diritti e tutele che vanno difesi e allargati.

L’opinione dell’esperto Ma come è stato possibile tutto ciò? Ai microfoni di Umbria Radio Maurizio Calvitti, esperto di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, spiega cosa è cambiato dal punto di vista della normativa per la cassa integrazione con il decreto Cura Italia.

 


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