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Salvare la medicina d’urgenza: tra Covid, giovani infermieri ed indennità

Written by on 06/12/2021

Salvare la medicina d’urgenza: tra Covid, giovani infermieri ed indennità

Una nuova indennità sostanziosa in arrivo da gennaio 2022: 90 milioni di euro, 63 per gli infermieri e 27 per i medici.

06/12/2021

Il Covid in Umbria

Nelle ultime settimane sono aumentate le polemiche nei confronti del lavoro degli infermieri ed i medici del pronto soccorso. Si è fatta sentire anche la Simeu, la Società scientifica dei medici d’emergenza, e ha protestato contro le condizioni di lavoro sempre più difficili, lo scarso riconoscimento economico e la mancanza d’organico, con l’obiettivo di “salvare la medicina d’urgenza”. Di pari passo, il Ministero della Salute ha diramato ufficialmente la notizia di una nuova indennità sostanziosa in arrivo da gennaio 2022: 90 milioni di euro, 63 per gli infermieri e 27 per i medici, destinati proprio a coloro che lavorano attualmente in pronto soccorso.

Si tratta di un’indennità accessoria da inserire nei contratti sanitari proprio con il dichiarato obiettivo di fermare la fuga degli operatori dai reparti d’emergenza. Una prima indennità era stata già rilasciata durante il mese di marzo 2020; è però importante capire perché molti operatori non vogliono più lavorare in pronto soccorso e quanto realmente quest’indennità possa cambiare le loro motivazioni.

I giovani infermieri, pronti a lavorare 11 ore al giorno

Matteo Boncio è un infermiere di 26 anni di Perugia e la sua è la storia di tanti giovani infermieri che hanno affrontato la pandemia come prima vera esperienza professionale nei reparti d’emergenza. Ha iniziato a lavorare nell’aprile del 2018, in una clinica privata abilitativa. Il lavoro d’emergenza però lo affascina e quindi si sposta in ambito pubblico nel 2019 nel piccolo ospedale “Santa Maria delle Stelle” a Melzo, a metà strada tra Bergamo e Milano. Durante tutta la prima ondata lavora in questo pronto soccorso: “Quasi il 90% dei tamponi che effettuavamo in quei giorni erano positivi – dice Matteo – lavoravamo 11 ore al giorno, ma non sentivo la fatica”.

La stanchezza si è fatta sentire nei mesi successivi; da inizio settembre è tornato a lavorare a Perugia, non in pronto soccorso, ma come infermiere di famiglia. “Questo lavoro è molto meno emergenziale, forse meno entusiasmante – continua Matteo – ma anche di minor responsabilità. Se ripenso ai mesi passati ho i brividi al ricordo di pazienti con il casco per l’ossigeno, con le labbra talmente secche da essere impossibilitati anche a mangiare”. Lui sa di aver ha fatto “solo il suo dovere”, ma è convinto che ciò che ha vissuto insieme ai suoi colleghi rimarrà per sempre nei suoi ricordi.

Quest’indennità, che lui non potrà percepire visto il suo attuale incarico, dal suo punto di vista è un piccolo incentivo per gli infermieri ma non basta perché c’è bisogno di una riforma più ampia: “Gli infermieri italiani sono i meno pagati di Europa, quasi tre volte meno rispetto agli infermieri del Lussemburgo e la metà rispetto a Germania ed Irlanda. Inoltre non solo pesa ciò che abbiamo vissuto e che non scorderemo, ma anche che ci abbiano già dimenticati dopo averci chiamati eroi”.

Il parare dell’Ordine degli Infermieri di Perugia 

Anche il Presidente dell’Ordine degli Infermieri di Perugia Nicola Volpi concorda su questa tesi: “Questa manovra economica rischia di essere solo un “contentino”. Questo tempo ci offre l’occasione di riformare il contratto nazionale, ormai immutato da troppo tempo.” Poi, valutando l’ambito regionale, ha detto: “Ad oggi al nostro servizio sanitario regionale mancano all’incirca 950 infermieri.

È un numero importante che va colmato attraverso un piano di assunzioni a tempo indeterminato, attraverso avvisi pubblici ed eleminando, a livello nazionale, il vincolo di esclusività con le nostre aziende pubbliche. Abbiamo visto quanto siano importanti gli infermieri nell’emergenza e non possiamo dimenticarlo.”

Martino Tosti.


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