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Riforma Terzo settore, un umbro al tavolo tecnico del Governo

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Riforma Terzo settore, un umbro al tavolo tecnico del Governo

24/02/2018

PERUGIA – Lo scorso 3 agosto è entrato in vigore il nuovo codice del Terzo settore, il decreto legislativo 117/2017, che ha uniformato e aggiornato il complesso di norme che governavano questo settore. Si tratta di una riforma importante se si considera che, secondo l’Istat, sono 336.275 le istituzioni del Terzo settore in cui lavorano 789mila dipendenti e operano 5,5 milioni di volontari. Con la riforma sono state create due strutture che si occupano del monitoraggio del Terzo settore, da un lato una cabina di regia alla presidenza del Consiglio dei ministri, dall’altro un Consiglio nazionale del Terzo settore di cui fa parte anche l’avvocato Alessandro Mazzullo. Perugino di nascita, ma romano per adozione, l’avvocato Mazzullo è uno degli esperti che ha contribuito alla stesura della riforma e che, il 22 febbraio, ha partecipato alla prima riunione del Consiglio nazionale del Terzo settore – presieduto dal ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti – chiamato a esprimere pareri sulle norme relative al Terzo settore.

L’avvocato Alessandro Mazzullo, componente del tavolo tecnico del Governo che ha redatto la riforma e autore del libro ‘Il nuovo codice del terzo settore: profili civilistici e tributari’, è stato ospite della trasmissione ‘1200 secondi con..speciale associazioni’ su Umbria Radio Inblu cercando di spiegare le novità di questa normativa.

Da dove nasce la necessità di una riforma del Terzo Settore?

“Pur essendo un settore particolarmente importante, il Terzo settore era governato da un insieme frastagliato di norme speciali che dovevano essere ricondotte ad unità. Necessario era anche un aggiornamento normativo perché la maggior parte delle norme, soprattutto quelle civilistiche era rimasta al ‘palo’. Il legislatore, quello del codice civile del 1942, aveva difronte una realtà estremamente diversa da quella che oggi è rappresentata dal Terzo settore, che guardava addirittura con sospetto ideologico tutti i corpi intermedi. Da una parte, quindi, l’evoluzione di questo mondo e dall’altro la modifica del quadro valoriale, assiologico, hanno determinato la necessità di intervenire legislativamente per una riforma legislativa”.

Il Terzo settore è molto ampio: chi compone questo mondo e, di conseguenza, a chi si rivolge la riforma?

“Il punto è proprio questo. La riforma, innanzi tutto, definisce normativamente cosa oggi è il Terzo settore, una definizione che presenta, comunque, ancora molte criticità perché il Terzo settore è tale perché si rapporta con un secondo settore – composto da pubblico e mercato – ma in realtà i confini tra pubblico, mercato e il Terzo settore sono sempre più labili e questa è una delle principali sfide che si è trovato ad affrontare il legislatore di questa riforma. Per intenderci, oggi abbiamo società per azioni, che perseguono scopi di interesse sociale, che non ridistribuiscono utili, dall’altro lato abbiamo imprese sociali o addirittura enti interamente no profit – cioè che non redistribuiscono alcun utile – che però fatturano milioni e milioni di euro e sono dei veri e propri colossi imprenditoriali con processi aziendali e commerciali che non hanno nulla da invidiare a quelli di tante altre realtà imprenditoriali for profit”.

Cosa si intende per no profit?

“Quando si parla di no profit non si prevede la distribuzione di utili e questo è uno degli aspetti fondamentali, mai sufficientemente compreso, perché un conto è dire no profit, cioè non fare nessun profitto, un conto è non realizzare un profitto per uno scopo puramente egoistico. Mi spiego meglio. Uno dei grossi problemi di questa realtà che ci si è trovati di fronte è la crisi di quelli che erano i due tradizionali sistemi di finanziamento: le erogazioni pubbliche a fondo perduto e il sistema delle donazioni private. La crisi, da una parte dei bilanci pubblici e dall’altra parte dei bilanci delle nostre tasche private, ha fatto si che il Terzo settore, fondamentale soprattutto in periodi di crisi, si sia dovuto attrezzare cercando anche altre fonti di finanziamento come, per esempio, lo svolgimento di attività commerciali, di scambio di beni e servizi. Ciò che però continua a contraddistinguere questo mondo è il fatto che se io vendo la maglietta di una qualsiasi associazione non lucrativa, e lo faccio per finanziare la mia attività, non posso essere considerato al pari di quella azienda che vende magliette. Faccio la stessa attività, ma la differenza non è tanto dovuta al tipo di attività che svolgo ma al fine per il quale svolgo quell’attività. Un conto è vendere la maglietta per uno scopo egoistico, un conto è vendere la maglietta per finanziare quel fine di utilità sociale che contraddistingue il mondo del Terzo settore”.

Questa riforma, che lei ha contribuito a redigere, che tipo di cambiamenti ha portato nel nostro ordinamento?

“I cambiamenti, soprattutto quando sono così sistemici, hanno un tempo di maturazione e assimilazione. La riforma stessa è già oggetto di un lavoro correttivo, integrativo ed interpretativo. Presenta ovviamente anche notevoli criticità, però gli aspetti più importanti sono condensati in questo codice del Terzo settore che aveva la pretesa di ricondurre all’unità quella legislazione frammentata che governava questo mondo, razionalizzandone tanti aspetti e consentendo di andare a prendere un unico testo normativo nel quale trovare le norme, non tutte ma la maggior parte, che regolano questo mondo. Dico non tutte proprio perché i confini sono sempre più larghi e non possiamo pensare che il Terzo settore sia una monade che vive a se stante. Il Terzo settore è composto di tante realtà che già oggi sfuggono a questa definizione. Il Parlamento, nonostante abbia già approvato il codice del Terzo settore che è entrato in vigore il 3 agosto 2017, nella legge di stabilità ha discusso delle società sportive dilettantistiche lucrative piuttosto che, con il Ddl Ascani, delle imprese culturali lucrative e non lucrative, tutti soggetti che un tempo orbitavano in quello che noi, soltanto da un punto di vista sociologico, chiamavamo terzo settore e che oggi lo sono anche giuridicamente. Oggi però, il Parlamento, nel momento stesso in cui elabora dei progetti di legge, già ritiene che alcune realtà non siano più costringibili dentro una normativa fresca soltanto di qualche mese. Questo mondo è in fortissimo fermento, con confini ibridi, che sta trasformando piano piano lo stesso mondo for profit, perché anche su quel versante ci sono degli avvicinamenti al mondo no profit. In attuazione di una direttiva europea di dicembre 2016, è stata emanato un decreto che impone alle grandi società obblighi di rendicontazione non finanziaria, cioè devono rendere conto delle politiche socialmente responsabili o ambientali che attuano e se non lo fanno devono rendere conto del perché non hanno adottato queste politiche: il cosiddetto ‘bilancio sociale’. In questo modo si obbliga queste grandi aziende for profit ad agire in modo socialmente responsabile, analogamente a quello che una associazione del mondo no profit redigere. Sono mondi che spingono sempre più l’uno verso l’altro e creano tante interessanti occasioni di partnership e sviluppo economico civile e sociale”.

La riforma di qui stiamo parlando ha un impatto importante anche sulle Associazioni a promozione sociale, come lo stesso articolo 5.

“L’articolo 5 del codice del Terzo settore, nel tentativo di descrivere questo mondo e quali sono gli enti del Terzo settore, indica sostanzialmente quelli che sono gli ambiti di attività che dovrebbero qualificare questo settore. Gli enti del Terzo settore sono identificabili, innanzi tutto, dal fatto che operano in determinati settori di attività di interesse generale. La novità dell’articolo 5 è data dal fatto che, a differenza dell’elenco di attività che già esisteva nel vecchio ordinamento per le onlus piuttosto che per le imprese sociali, questo è un elenco che è aggiornabile anche attraverso una norma sub primaria, cioè non c’è bisogno necessariamente di un procedimento legislativo, di una nuova legge, per aggiungere un nuovo settore qualificante l’ente del Terzo settore, ma basta una norma regolamentare”.

Oltre alle associazioni, che impatto avrà questa riforma sui cittadini?

“La riforma impatta sugli oltre 300 mila enti che costellano il mondo giuridico del Terzo settore ma anche su tutti quei cittadini che, come volontari o come destinatari delle azioni poste in essere dagli enti del Terzo settore, beneficeranno dei servizi o dei beni erogati, quindi l’impatto della riforma dovrebbe essere sull’intero sistema paese.  Facciamo un esempio di partnership di profit e no profit che potrebbe avere un impatto sulla collettività. A Roma ogni genitore ha presente la situazione dei parchi giochi: sono fatiscenti. Un’azienda importante, come tante di quelle che hanno sede nella capitale, potrebbe decidere di farsi carico della cura, dell’allestimento di un parco giochi a tema – con un evidente ritorno di immagine e con la possibilità di dedurre i costi relativi a quest attività – lasciando poi la gestione dei parchi alle associazioni, al mondo associativo. Il punto è proprio questo: partnership e ibridazione”.

Ascolta l’intera puntata di ‘1200 secondi con..speciale associazioni’


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