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Peste suina, l’Umbria sempre più a rischio secondo Confagricoltura

Written by on 11/06/2022

Peste suina, l’Umbria sempre più a rischio secondo Confagricoltura

Secondo la sezione umbra dell'associazione degli agricoltori, serve un cambio di passo dopo i due recenti casi segnalati dall'Istituto Zooprofilattico nella vicina provincia di Rieti

11/06/2022

Cinghiale_peste suina

Il cinghiale veicolo di trasmissione della Peste Suina Africana

L’Umbria sempre più a rischio di contagio di Peste Suina Africana (Psa), secondo Confagricoltura, dopo la notizia data dall’Istituto Zooprofilattico di due nuovi casi nella vicina provincia di Rieti.

“Serve un cambio di passo -viene ribadito in una nota dall’associazione degli agricoltori umbri- subito un deciso piano di contenimento dei cinghiali e sostegni economici alle aziende del comparto.

Mettere in campo azioni efficaci e permanenti di eradicazione del cinghiale utilizzando squadre volontarie ma è anche giunto il momento di fare ricorso a personale esperto di caccia appositamente incaricato”

Alle porte dell’Umbria è quindi sempre più presente la Peste Suina Africana e la mobilità dei cinghiali rischia di mettere in crisi allevamenti e norcineria.

“Un episodio grave -prosegue la nota- che mette a rischio la filiera suinicola regionale e nazionale, frutto della disattenzione con la quale l’emergenza PSA è stata affrontata fino ad oggi. L’ingresso del virus nell’allevamento vicino a Roma, poteva essere evitato con misure adeguate, incisive e tempestive”.

Prevenire i danni economici della possibile diffusione della Peste Suina

Adesso, per Confagricoltura, bisogna prevenire i danni economici che la sola notizia della diffusione del virus tra gli allevamenti è capace di produrre, pure in Umbria.

“Non sono sufficienti gli interventi sin qui attivati -sottolinea Confagricoltura Umbria– che denotano lo sforzo della Regione Umbria di adottare strumenti efficaci a norme costanti.

Questo significa che il commissario straordinario deve adottare efficaci disposizioni in deroga alle attuali norme sulla caccia e sulla protezione delle specie.

Nelle aree dove sarà necessario eliminare il cinghiale, che dal punto di vista demografico è presente in numeri enormemente superiori a quanto previsto dall’equilibrio ecologico, è necessario che tali attività siano consentite anche in battuta e non solo con la tecnica dell’aspetto e della girata. Tutte e tre le tipologie di intervento debbono poter coesistere ed essere adottate per dodici mesi l’anno per i prossimi tre anni. E ciò deve essere reso possibile in quanto non si tratta di caccia al cinghiale, attività peraltro che deve essere limitata alle sole zone vocate e con settori assegnati a rotazione alle squadre di cacciatori.

Tutto questo ci porta a dire che gli strumenti evocati oggi diventano essenziali per ricondurre la specie cinghiale in equilibrio ecologico, salvaguardare allevamenti e industrie della trasformazione, economia di importanti città come Norcia. Tutto questo porterà a salvare i raccolti dalla devastazione dovuta a questa specie e ridurre drasticamente gli incidenti che purtroppo seminano vittime umane. Le stesse tecniche di trappolamento forse, oltre ad alimentare filiere tracciate della carne e dei prodotti a base di cinghiale, potrebbero servire abbinati alla realizzazione di ampie zone recintate in area boscata, a contenere il cinghiale e assegnarne la gestione di chi ha interesse alla caccia come attività ludica con i proprietari di dette aree”.

È fondamentale inoltre, per l’associazione, il rilancio immediato di un deciso piano di contenimento delle comunità di cinghiali allo stato brado, primo veicolo della malattia. Parallelamente, afferma Confagricoltura, è altrettanto urgente riconoscere indennizzi adeguati agli allevatori colpiti, da versare rapidamente e in maniera equa. Inoltre, è necessario dare seguito agli incentivi destinati agli investimenti in materia di biosicurezza. Dal ritrovamento del primo cinghiale colpito dalla Peste Suina Africana, lo scorso gennaio, l’export del settore suinicolo italiano sta subendo danni economici quantificabili in venti milioni di euro al mese. Con un export di 1,5 miliardi di euro nel 2021, il volume di affari totale (produzione degli allevamenti e fatturato dell’industria di trasformazione) sfiora gli undici miliardi. Complessivamente, l’intera filiera genera un fatturato che è pari al cinque per cento del totale della produzione agricola nazionale e sul fatturato dell’intera industria agroalimentare italiana.


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