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La sfida dei social, dissentire senza litigare: educare alla comunicazione

Written by on 03/03/2018

La sfida dei social, dissentire senza litigare: educare alla comunicazione

03/03/2018

Frasi minacciose sui social

Frasi minacciose sui social

PERUGIA – Nell’epoca dei social, della comunicazione ‘smart’, della rete, è sempre più importante essere pronti ed educati alla comunicazione. Il fenomeno degli ‘haters’, dei ‘leoni da tastiera’ – che insultano o aggrediscono sui social perché in disaccordo con il loro interlocutore – sta diventando sempre più diffuso anche a causa del sottovalutare la portata e l’impatto di quello che si scrive sui social. Si può discutere senza litigare? Dal vivo, come nel mondo virtuale, è possibile comunicare le proprie idee in modo chiaro alla persona che ho davanti senza dover entrare in conflitto? Il dottor Bruno Mastroianni, giornalista  ha provato a comunicare il suo punto di vista nel programma radiofonico ‘1200 secondi con…Speciale Associazioni’ in onda su Umbria Radio Inblu.

Bruno Mastroianni Esperto in comunicazione digitale, relazione con i media e comunicazione istituzionale, social media manager di alcuni programmi Rai, Bruno Mastroianni è autore del libero ‘La disputa felice: dissentire senza litigare sui social network, su i media e in pubblico’. Grazie anche al suo contributo, l’AGeSC (Associazione genitori scuole cattoliche) ha creato una piattaforma sul proprio sito internet per educare alla comunicazione grazie a dei contenuti che ci aiutano ad entrare in relazione con i figli e con le scuole.

Questa l’intervista al dottor Bruno Mastroianni

Nel suo libro ‘La disputa felice’  lei sostiene che sia possibile affermare il proprio punto di vista anche con chi la pensa diversamente, senza litigare. Come è possibile?

Ad oggi c’è la necessità di ripartire da una educazione alla comunicazione. Questo è stato sempre importante per gli esseri umani in tutte le epoche ed oggi è ancor più importante dato che viviamo iper-connessi. Siamo circondati da una tecnologia che ci mette nella condizione di parlare, di comunicare, con molte più persone di prima, cioè l’influenza dei nostri atti di comunicazione si è espansa in modo esponenziale. Ogni nostro atto di comunicazione, ogni nostra opinione che diffondiamo, ogni nostra risposta che diamo, raggiunge molte più persone di prima e qui c’è il secondo elemento che è quello della pluralità. Con i nostri atti di comunicazione, riusciamo a raggiungere molte più persone che vengono da mondi, contesti sociali, idee e visioni molto diverse dalle nostre. In passato vivevamo in contesti un po’ più piccoli, invece, in questo momento storico un post su Facebook può raggiungere una moltitudine di persone enorme. E’molto importante imparare da accettare che viviamo in un contesto così plurale e diventa fondamentale riuscire a comunicare pensando che il nostro ‘pubblico’, le persone che ci ascolteranno, avranno idee e posizioni diverse. Dobbiamo imparare a stare nella divergenza ma mantenendo il legame con l’altro: non rompere con l’altro è la sfida di oggi e possiamo vincerla solo con un po’ di educazione, di allenamento, di sforzo e un di ragionamento sulle proprie capacità, sulle proprie intenzioni di comunicazione.

Come sottolinea nel suo libro, oggi siamo sovraccaricati di un mare di informazioni, il problema è che dobbiamo capire che cosa veicolano e che contenuto hanno queste informazioni.. cosa vogliono anche nascondere. Come possiamo porci in un confronto serio, vero e reale (al di là del mezzo con cui lo facciamo), senza però entrare in rapporto conflittuale?

Bisogna partire dal rendersi conto che non c’è soltanto una questione di contenuti. Spesso siamo concentrati sul ‘cosa diciamo’, invece quello che conta è il ‘come’ perché le cose che diciamo hanno sempre un effetto sull’altro. Quello che viene prima è la parte relazionale della comunicazione, non il contenuto. Riuscire a mantenere con l’altro un legame, una corrispondenza – in modo tale che si può essere ascoltati – è fondamentale. Questo come si cura? Si cura con l’atteggiamento che vale anche per lo scritto perché, tra le righe, appaiono nostri segnali di atteggiamento nei confronti dell’altro. Per esempio, quando per dissentire dall’opinione di un altro iniziamo la frase con un commento del tipo “ma che dici?”, in quella frase non c’è nessun argomento, c’è come una piccola ‘gomitata’ che diamo all’altro che crea tensione. Rinunciare a queste formule e spendere tutte le energie per argomentare il perché dissento dall’altro, aiuta a condurre il confronto in maniera pacifica. Ci sono anche frasi e azioni più gravi di comunicazione, per esempio, quando usiamo i cosiddetti argomenti ‘ad hominem’ diciamo all’altro “tu dici così perché sei giovane”, oppure peggio – “tu dici così perché sei donna”, prendiamo una caratteristica dell’altro per usarla contro di lui, come per dire che le sue argomentazioni sono rovinate, compromesse da una sua caratteristica. Imparare a vedere e a rinunciare a queste nostre formule, che compromettono la pace del dialogo, ed impiegare tutto il tempo per spiegare, argomentare ed offrire ragioni, offrire elementi alle prospettive dell’altro aiuta a mantenere la relazione pur divergendo, pur avendo opinioni opposte. In un certo senso, è spostare l’attenzione da una frizione che ci può essere dal punto di vista della relazione con l’altro e metterla tutta nell’argomento, mantenendo con una relazione amichevole. Si può fare, ci vuole un po’ di educazione.

Nel libro c’è un decalogo per cercare di discutere senza litigare. Il punto numero 6 dice “rifiuta i bivi”. Che cosa si intende?

Abbiamo una tendenza nelle discussioni a semplificare la questione perché semplificare ci aiuta ad avere meno orrore per la complessità. La complessità è qualcosa che ci sfida; la complessità della realtà, delle conoscenze per discutere, e quindi spesso – in una discussione – arriviamo a dei bivi: “sei d’accordo o non sei d’accordo?”, “è giusto o sbagliato?”, “è nero o bianco?”, “da che parte stai?”. Se ci pensiamo, anche molto nella retorica giornalistica, nei talk show e in certe trasmissioni alla fine si arriva a questo “lei è a favore o contro?”. Questo può crearci l’illusione che la realtà sia un continuo bivio in cui la sfida è mettersi dalla parte giusta. Quasi mai, invece, è così. La maggior parte delle volte la realtà è così complessa che non solo ci sono due opzioni ma ce ne sono tre, quattro o cinque ed è anche bene valutarle tutte. Il punto numero sei del decalogo ci chiede di fare lo sforzo di accorgerci quando stiamo ponendo bivi agli altri o gli altri ce li stanno ponendo e tentare sempre di uscire da questa logica rimettendo la complessità all’interno della discussione. Di solito questa strategia aiuta ad andare avanti. Per essere concreto uso l’immagine – che è anche la copertina del mio libro – del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Il dilemma è “il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno?”. Dipende. Non c’è solo ottimismo o pessimismo: se uno è assetato vede il bicchiere mezzo pieno allo stesso tempo un medico, vedendo quella quantità d’acqua, dirà “non basta ad idratarsi”, allora per lui il bicchiere sarà mezzo vuoto. Il bicchiere è allo stesso tempo mezzo vuoto e mezzo pieno. Non si tratta di relativismo, è semplicemente valutare la stessa realtà – il bicchiere – in relazione a chi lo deve utilizzare. Questo arricchisce la visione della realtà, invece, rimanere sempre e solo su un bivio può ridurre ed alimentare i contrasti: se la realtà la spacchiamo sempre in due, ci saranno sempre due schieramenti che si faranno la guerra.

In una intervista lei sostiene che “la capacità umana più alta è quella di entrare in relazione con chi è diverso da noi invece di abbatterlo”. Confrontarsi, discutere, può essere un bene per la relazione con l’altro?

Si, non solo può esserlo, io ritengo che le idee migliori nascono proprio da un confronto con una prospettiva diversa. Riusciamo a spiegarci al meglio proprio quando incontriamo qualcuno che resiste alle nostre idee perché quando l’altro mette in dubbio la nostra visione del mondo, siamo spinti a cercare le parole giuste, ad usare meglio le argomentazioni, ad essere anche più preparati (ci viene voglia di avere dati più attendibili, informazioni più sicure). Lo sforzo di sostenere la nostra opinione e anche la nostra identità, davanti ad un altro che la mette in dubbio, ci rende più intelligenti. Il grande rischio di oggi, del mondo virtuale, è quello di circondarsi solo di persone che sono la pensano come noi, di rinchiudersi in ‘tribù’ di opinioni e di idee omogenee, di stare sempre con i propri ‘polarizzati’ e, quindi, sempre in contrasto con gli altri. Quando si sta tra persone con opinioni simili si arriva addirittura ad usare parole chiave ed espressioni più povere di contenuto proprio perché ci si intende, si è già d’accordo. Questo impoverisce anche le capacità intellettuali e comunicative. Avere costantemente davanti qualcuno che ci contrasta, invece, ci rende più intelligenti. Questa è la grande opportunità della rete e dei social network.

Quindi discutere non è un bene solo per la relazione con l’altro ma anche per se stessi?

Sì, è un momento di crescita e non c’è solo lo sforzo di spiegarsi, ma c’è anche lo sforzo di capire l’altro. Prendere sul serio le argomentazioni del nostro interlocutore, proprio quando sono ostili e di contrasto, ci rende più ricchi perché ci fa conoscere cose nuove, possibilità altre di vedere la realtà, argomenti diversi sulle cose che noi davamo per scontate. L’ho chiamata ‘Disputa felice’proprio perché non c’è un buonismo, ma è un’idea operativa, un metodo di conoscenza. Il grande problema di oggi è che la quasi totalità dei litigi on line avviene non perché ci sono discussioni, ma proprio per la mancanza delle stesse. Il litigio, appunto, è proprio il segnale che la discussione non sta avvenendo; la lite ha già compromesso il confronto, non ci sono due persone che si stanno confrontando delle idee, il litigio è già chiusura: ognuno torna a casa con la sua idea avendo contrastato l’altro. Di questi tempi, invece, abbiamo bisogno di discutere di più, paradossalmente perché altrimenti la rete diventa solo una distesa di litigi inutili.

Nella prefazione del suo libro, Vera Gheno scrive “la divergenza di opinioni non è vista più come un problema insormontabile ma come una incredibile possibilità di arricchimento”. Avere questa consapevolezza dalla nostra parte ci aiuta a confrontarci con maggiore serenità in famiglia, al lavoro ed in altri contesti. Inoltre, nei ha tracciato anche una serie di comportamenti legati alla comunicazione utilizzando uno schema con assi cartesiani dove da una parte troviamo il ‘contenuto’ dall’altro la ‘relazione’..

Quando si litiga mettendo elementi di contrasto nella parte relazionale con l’altro, in realtà, si finisce per non discutere più del contenuto. Poi c’è il ‘politicamente corretto’, una strategia di linguaggio che ci porta a non affrontare certi argomenti per mantenere la relazione con l’altro ed in questo modo abbandoniamo definitivamente il contenuto. Poi abbiamo il discorso ‘razionale scientifico’ che non può preoccuparsi della relazione con l’altro ma deve concentrarsi sull’affidabilità, sul rigore dei contenuti – ed è anche giusto che sia così perché la scienza deve studiare senza preoccuparsi dell’effetto, senza pensare al gradimento.

 

In questo scenario, è possibile avere una comunicazione che vada fino in fondo nel confronto sui contenuti ma, al tempo stesso, tutelando la relazione con l’altro? Si, questa è la disputa felice. C’è bisogno in partenza di un grande lavoro di consapevolezza sule proprie capacità, non a caso nel libro riporto il caso della Badessa di clausura che discute con Giuseppe Cruciani nel programma radiofonico ‘La Zanzara’, che per me è il caso di disputa felice simbolico. Non parliamo di un un guru della comunicazione o di un esperto comunicatore, ma di una Badessa di clausura, una persona che ha una grande consapevolezza delle proprie convinzioni, del proprio credo e vuole esporsi, cioè è disposta addirittura a discutere con un giornalista come Cruciani, che è un maestro di polemiche e di interviste dure che sa punzecchiare. La Badessa è talmente serena e tranquilla della sua identità che anzi ha voglia di dialogare con Cruciani, ha voglia di confrontarsi con il giornalista che fa anche delle domande mal poste, indiscrete, impertinenti, ma lei accetta questo dialogo – anche un po’ duro -riuscendo a trasmettere cose bellissime. Consiglio a tutti di sentire alla radio questa puntata, è bellissimo come questa Badessa dia proprio la sensazione che avrebbe potuto rispondere a qualsiasi domanda, a qualsiasi provocazione, rimanendo serena e raccontando la sua visione delle cose. La Badessa riesce a trasmettere dei contenuti altissimi pur in un contesto di un programma radiofonico che cerca, ovviamente, la polemica e il contrasto. Il non plus ultra della disputa felice è in ogni condizione, di fronte a qualsiasi domanda, nella quale si può offrire se stessi e spiegare come la si pensa.

Cruciani, da lei citato, ha costruito la sua fortuna su questi contrasti, su questi bivi a cui porta gli ascoltatori. Secondo lei è una rappresentativa della società di oggi  che ci porta sempre di più a schierarci o da un lato o dall’altro?

Dobbiamo sempre ricordandoci che la società siamo noi, siamo stati tutti insieme a favorire questo atteggiamento. Chiaramente il dibattito pubblico sui mezzi di comunicazione ha teso sempre più a raccontare la realtà nel modo più semplice, che è quello del conflitto. Il modo più facile di narrare le questioni è mettere un opinione A contro un’opinione B, è una specie di ‘via a buon mercato’ per raccontare le cose in modo interessante. Anche noi abbiamo ceduto a questo modo di fare e quando ci arriva un contenuto dall’altro tendiamo anzi tutto a porci il problema di che posizione abbiamo, ancora prima di capirlo. Quando ci confrontiamo con gli altri il primo sforzo che dovremmo fare è quando di cercare di capire cosa ci stanno dicendo e, solo in un secondo momento, esprimere e prendere una posizione. Non dobbiamo partire dal ‘sono d’accordo oppure no?’, ma partire dal ‘ho capito cosa mi sta dicendo l’altro?’. Una volta compreso il contenuto allora, e solo allora, prende una posizione è giusto. Il nostro problema è che tendiamo a prendere posizione ancor prima di capire. La maggior parte delle volte non ascoltiamo nemmeno fino in fondo cosa l’altro ci sta dicendo, che di solito è più interessante del prendere posizione.


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