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Coronavirus, anche i locali di Perugia aderiscono a “Risorgiamo Italia”

Written by on 29/04/2020

Coronavirus, anche i locali di Perugia aderiscono a “Risorgiamo Italia”

29/04/2020

PERUGIA – Saracinesche alzate, insegne e luci accese dei locali “per l’ultima volta” martedì sera e consegna, mercoledì mattina, delle chiavi delle attività al sindaco con la richiesta di rovesciarle sui tavoli del governo: a Perugia – come in altri comuni dell’Umbria – è andata in scena la protesta di 12 locali del centro storico, tra ristoranti, bar e pizzerie – in crisi per l’emergenza coronavirus -, che hanno aderito alla manifestazione nazionale “Risorgiamo Italia”.

Protesta del settore La manifestazione nazionale di protesta è stata indetta dal Mio -Movimento imprese ospitalità – e organizzata dai movimenti di imprenditori del mondo Horeca e dei locali di pubblico spettacolo. L’obiettivo, anche per gli imprenditori umbri, è alzare la voce “per dimostrare che esistiamo e che siamo pronti a ripartire visto che il Covid-19 in Umbria è stato molto più contenuto che in altre regioni”. “Ma con le dovute garanzie” aggiungono gli imprenditori. Un flashmob simbolico con la speranza di riaprire prima possibile e tornare in piena attività perché “siamo stati abbandonati” afferma Gianni Segoloni del Bistrot, che tra l’altro si è fatto portavoce di altri 300 imprenditori umbri del settore dopo la nascita in Umbria di una associazione di imprenditori locali che
ha preso forma spontaneamente perché spinta dall’attuale emergenza economica e per tutelare la categoria. “La possibilità di fare asporto è solo un contentino” sottolinea ancora
Segoloni. “A fronte della nostra grande disponibilità – aggiunge -, l’azione del governo fino ad oggi si è dimostrata tardiva ed insufficiente”. I 12 locali di Perugia che hanno aderito chiedono quindi al sindaco Andrea Romizi, con la consegna simbolica delle chiavi dei locali, di farsi portavoce al governo delle loro istanze. Perché, affermano, “il Governo anche con il nuovo decreto non ci è venuto incontro su tasse, sostegno economico e riaperture da poter predisporre anche noi in questa fase dopo l’emergenza”.

A Terni Dall’11 marzo, giorno del decreto governativo che ha imposto il lockdown, saracinesche giù per lo storico bar pasticceria Pazzaglia di Terni che, dal dopoguerra ad oggi, non era mai stato chiuso così a lungo. La storica attività fondata nel 1913, nel tempo fornitrice anche di Casa Savoia e Santa Sede, martedì sera, alle 21, ha aderito al flash mob di protesta organizzato da bar e ristoranti  per richiamare l’attenzione sulla situazione del comparto. “Abbiamo sempre lavorato sette giorni su sette, 365 giorni l’anno, ora in due mesi di chiusura il coronavirus ci ha fatto perdere almeno 160 mila euro di incassi” ha raccontato il titolare, Stefano Amici. “Non servirà a nulla protestare, ma almeno diamo un segnale simbolico” ha spiegato Amici, che da lunedì 4 maggio inizierà a riaprire lavorando almeno con l’asporto. “Intanto potremo far rientrare cinque dei nostri 15 dipendenti – ha continuato -. Non hanno ancora visto un euro della cassa integrazione, ma mi dicono che pagherebbero loro pur di venire a lavorare il prima possibile”. Sanificazione in corso, visiere e guanti doppi per i dipendenti, ingresso e uscita diversificati: così Pazzaglia si prepara a riaccogliere dal 4 maggio i clienti, che dovranno però consumare fuori dal locale. Ha deciso invece di non riaprire l’attività prima del 1 giugno Oana Corina Astanculesei, che da quattro anni gestisce il Mood Café in piazza Solferino, sempre nel centro città. “Se facessi l’asporto sarebbe più la spesa che l’impresa – ha spiegato -, una rimessa con uffici e studi legali chiusi. Mi dispiace, perché con i clienti erano diventati la mia famiglia e mi mancano”. Ad oggi Oana non ha ricevuto i 600 euro richiesti allo Stato né la sua dipendente i soldi della cassa integrazione. Intanto i fornitori la incalzano nei pagamenti. “È una tragedia – ha continuato -, ho lavorato con fatica tutta la vita e ora mi ritrovo con le ali spezzate e il conto prosciugato. Finirò per legarmi al mio locale”. olleranza nei pagamenti di affitti e utenze e annullamento della tassa per l’occupazione del suolo pubblico sono le proposte di Elisa, da settembre titolare della trattoria Carpe Diem. A causa delle misure di contenimento i coperti del suo ristorante da giugno passeranno da 70 a 28. “Ci dovranno vivere cinque famiglie – ha spiegato -. È già tutto pronto, ma vedere svanire così un sogno è dura. Sono rassegnata: poveri siamo e poveri rimarremo”.

A Baschi Anche Gianfranco Vissani ha consegnato, in modo simbolico, le chiavi del proprio ristorante di Baschi al sindaco del comune umbro, Damiano Bernardini. Con lui lui una delegazione di sette operatori locali. “Questo virus a volte è meno pericoloso dell’indifferenza di chi non vuole comprendere le esigenze nazionali e locali di un intero settore in ginocchio” hanno scritto Vissani e gli altri ristoratori in una lettera consegnata al sindaco. “Sappiamo che il Governo non ha soldi, ma ci deve ascoltare – ha detto Vissani in un video postato sui


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